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La gestione dei residui

I residui derivano dalla formazione del bilancio secondo il principio della competenza finanziaria, in virtù del quale al 31 dicembre - termine dell' esercizio finanziario - alcune entrate accertate possono non essere state ancora riscosse ed alcune spese impegnate non ancora pagate.

Nell'ambito del bilancio di cassa, che invece si riferisce a previsioni concernenti effettive entrate ed effettive uscite finanziarie, appare più appropriato parlare di minori entrate e di minori spese piuttosto che di residui attivi e passivi.

I residui attivi sono l'espressione di entrate accertate ma non ancora riscosse nonché di entrate riscosse ma non ancora versate; rappresentano crediti dell'azienda statale nei confronti di terzi.

In particolare, con riferimento al loro grado di esigibilità, i residui attivi si distinguono in:

  • residui la cui riscossione può considerarsi certa;
  • residui connessi a dilazioni di pagamento concesse ai debitori (residui dilazionati);
  • residui incerti perché giudizialmente controversi;
  • residui riconosciuti di dubbia e difficile esazione;
  • residui riconosciuti assolutamente inesigibili.

I residui passivi sono l'espressione di spese già impegnate e non ancora ordinate ovvero ordinate ma non ancora pagate e, pertanto, rappresentano debiti dell'azienda statale nei confronti di terzi. Peraltro i residui passivi comprendono anche somme che non corrispondono a debiti giuridicamente sorti nei confronti dei terzi: è il caso dei residui di stanziamento.

I residui di stanziamento corrispondono a spese previste in bilancio per le quali non si è ancora avuto l’impegno. Si tratta, quindi, di spese già stanziate ma per le quali non è stata ancora delineata la figura del creditore. Attualmente, la formazione di questo tipo di residui è prevista solo per i capitoli di spesa in conto capitale e per alcune particolari tipologie di spese correnti oggetto di norme specifiche. In particolare l'art. 36 del regio decreto 2440/1923 (e successive modificazioni e integrazioni), il quale disciplina l’a mministrazione del patrimonio e della contabilità generale dello Stato, stabilisce che i residui per spese in conto capitale non ancora impegnate – c.d. residui di lettera f) – possono essere mantenuti in bilancio non oltre l'esercizio successivo a quello di stanziamento, a meno che non siano iscritti in forza di disposizioni legislative entrate in vigore nell'ultimo quadrimestre dell'esercizio precedente; in tal caso il tempo di iscrizione dei residui, è protratto di un anno. I residui di stanziamento diventano economie alla chiusura dell’esercizio successivo al loro stanziamento qualora non vengano impegnati. Stessa disciplina si applica ai residui di stanziamento di parte corrente per i casi previsti dalla normativa vigente.

Per i residui, negli anni successivi a quelli in cui si sono formati, si verificheranno le fasi della riscossione e del versamento (residui attivi) o della liquidazione, dell'ordinazione e del pagamento (residui passivi).

I residui vengono accertati al momento della chiusura dell'anno finanziario ed iscritti nel rendiconto generale.

Essi sono riportati nella contabilità dell'esercizio successivo, ma tenuti distinti dalle somme relative alla competenza del nuovo esercizio finanziario. Si hanno cioè, due distinte gestioni finanziarie:

  • una relativa alle somme previste per l'anno finanziario in corso (gestione di competenza);
  • una concernente esclusivamente l'esazione ed il pagamento dei residui (gestione dei residui).

Tuttavia, il tempo di mantenimento dei residui in bilancio è limitato e varia a seconda della natura degli stessi.

Per quanto concerne i residui attivi, essi vengono mantenuti in bilancio fino a quando non vengono riconosciuti di dubbia o difficile esazione ovvero assolutamente inesigibili. Bisogna distinguere:

  • nel primo caso passano al patrimonio dello Stato e vengono iscritti nei registri contabili del demanio, che provvederà agli ultimi tentativi di riscossione (vedi anche l'art. 264 del regio decreto 827/1924 recante il regolamento per l’amministrazione del patrimonio e la contabilità generale dello Stato);
  • nel secondo caso vengono eliminati dalle scritture contabili con decreto ministeriale, al termine di apposito procedimento amministrativo. Tali decreti sono registrati dalla Corte dei Conti (art. 265 del citato regio decreto 827/1924) .

L'ammontare dei residui passivi, per ogni capitolo di bilancio, è determinato con decreto ministeriale registrato dalla Corte dei Conti. L'accertamento contabile dei residui passivi è operato dagli uffici centrali di bilancio (art. 53 del regio decreto 2440/1923).

I residui passivi di parte corrente vengono mantenuti in bilancio per due esercizi finanziari successivi a quello in cui è intervenuto il relativo impegno, quindi vengono considerati perenti ed eliminati dalle scritture relative al bilancio dello Stato.

La perenzione amministrativa è un istituto caratteristico della contabilità pubblica, secondo il quale i residui passivi che non vengono pagati entro un certo tempo a partire dall'esercizio a cui si riferiscono vengono eliminati dal bilancio dello Stato e iscritti nel Conto del Patrimonio dello Stato tra le passività. In particolare l'art. 36 del regio decreto 2440/1923 (e successive modificazioni e integrazioni) stabilisce che i residui delle spese correnti (ad es. di funzionamento) e delle spese in conto capitale (ad es. di investimento) non pagati entro il secondo esercizio successivo a quello in cui è stato iscritto il relativo stanziamento – c.d. residui di lettera c) – si intendono perenti agli effetti amministrativi. Le somme eliminate possono riprodursi in bilancio con riassegnazione ai pertinenti capitoli degli esercizi successivi, qualora il creditore ne richieda il pagamento (purché non sia trascorso il periodo di «prescrizione» giuridica del suo diritto), con prelevamento dagli appositi “ fondo speciale per la riassegnazione dei residui perenti delle spese di parte corrente” e “ fondo speciale per la riassegnazione dei residui perenti delle spese in conto capitale”, entrambi istituiti nello stato di previsione del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Quello della perenzione è un istituto amministrativo che non arreca alcun danno al creditore che, anche qualora sia avvenuta la cancellazione dal bilancio dell'importo dovutogli, conserva il diritto ad avanzare richiesta di pagamento: essa determinerà (compatibilmente con la disponibilità di risorse nei fondi speciali per la riassegnazione) la reiscrizione in bilancio del suo credito.

In generale lo scopo di queste disposizioni in materia di residui passivi è quello di evitare che le amministrazioni statali abbiano a disposizione nei propri bilanci considerevoli stanziamenti di risorse da impegnare e spendere in esercizi ormai lontani da quello in cui la spesa in questione è stata autorizzata con l’approvazione del bilancio. In caso contrario, la funzione di controllo parlamentare sulla gestione delle risorse pubbliche risulterebbe indebolita e, in ciascun esercizio, il fabbisogno finanziario dello Stato potrebbe dipendere in maniera preponderante dall’a ccumulazione dei residui, rendendo particolarmente difficoltosa la gestione di cassa.

La perenzione amministrativa non va confusa, nella sua natura e nei suoi effetti, con la prescrizione estintiva. Quest'ultima, infatti, comporta, in base alle norme del Codice Civile, la perdita del diritto a percepire la somma non riscossa entro un dato termine (ad esempio, gli interessi – compresi quelli relativi al debito pubblico – si prescrivono in cinque anni).

L'introduzione del bilancio di cassa accanto a quello di competenza non ha significativamente ridotto la formazione di residui, non avendo posto rimedio alle cause che sono alla base di tale fenomeno, sostanzialmente individuabili nella:

  • dissociazione tra decisioni legislative in materia di spesa e possibilità concrete dell'Amministrazione;
  • tardività dei provvedimenti legislativi di variazione del bilancio;
  • ritardata iscrizione in bilancio delle spese di carattere pluriennale;
  • lentezza dell'attività dei centri di spesa;
  • complessità e lungaggini connesse alle varie procedure;
  • esecuzione di opere con pagamento differito.